U.N.I.T.A.L.S.I.

Unione Nazionale Italiana Trasporti Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali

SEZIONE ROMANA-LAZIALE
Gruppo di Mentana

 

 

 

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LA PSICOLOGIA DEL MALATO

Conversione di
Soeur Marie St. Jean Torgue
con i partecipanti
all’Ecole de Stage
dell’Hospitalité Notre dame de Lourdes


Vi parlerò della psicologia del malato e del suo comportamento con gli altri.
Spero che coloro che curano la psiche mi perdoneranno, ma penso che qui, a Lourdes il modo di "occuparsi" dei malati sia cosa ben diversa. Qui a Lourdes siete venuti per accompagnare i malati, per accoglierli. I malati non vengono a Lourdes per fare della psicoterapia o della psicanalisi : essi sono "in cammino", e stà a voi, barellieri e hospitalières, di aiutarli in questo loro cammino. Innanzitutto, non dobbiamo emarginarli: vengono a Lourdes come dei pellegrini, e infatti vengono essenzialmente in pellegrinaggio. Se sono malati, è per un caso. Perciò, stiamo ben attenti a considerarli prima di tutto dei pellegrini.
Per quanto riguarda il modo di comunicare con gli ammalati, è evidente che bisogna saper parlare con loro; ma la lingua è una grande barriera, che spesso dovremo cercare di superare. Per fortuna, per le cose più importanti potremo sempre fare appello a qualcuno vicino a noi. In realtà, credo che sia molto raro che qualcuno si trovi in difficoltà solo a causa della lingua, anche se si tratta indubbiamente di una barriera.
A Lourdes, noi dobbiamo accogliere gli ammalati, dobbiamo aiutarli in questo cammino del pellegrinaggio: e per questo sarà necessario soprattutto arricchire il cuore con tutto ciò che il Signore ha messo di buono in ciascuno di noi, cominciando con 1'intelligenza, perché è vero che io parlo di "cuore", e certamente non è solo con il cervello e con 1'intelligenza che andremo incontro agli ammalati, ma soprattutto con il cuore. Ciò non significa, però, che non dobbiamo utilizzare l'intelligenza, perché vicino agli ammalati, pur senza averne una responsabilità totale, potremmo compiere un'azione o un gesto non adatto. Nelle scuole per infermiere, già da alcuni anni, operano da noi in Francia dei medici psichiatri, che tengono dei corsi alle infermiere sul modo di trattare gli ammalati. Ovviamente, si tratta di psicologi, ed ora si parla anche d'inserire degli psicologi in tutte le équipes mediche. Ma io penso che anche con tutta la loro scienza, se si tratta di persone inserite soltanto per far da tramite tra medico e infermieri, anche con tutto ciò, non si incontrerà mai l'ammalato. Perché noi dobbiamo andare verso 1'ammalato con il cuore, e 1'infermiera e 1'allieva infermiera, oggi la si formerà al rapporto con 1'ammalato soprattutto sfruttando, come dicevo poco fa, ciò che il Signore ha messo di buono in ciascuno di noi. Penso che stia a noi preparare 1'incontro con 1'ammalato. E questo, a Lourdes, è molto importante, perché può trattarsi di un ammalato che ha visto cambiare la propria vita improvvisamente con la malattia ....e perciò anche i suoi bisogni possono essere cambiati di molto; vi parlerò perciò diffusamente sul modo d'intrattenersi con l'ammalato e sui suoi bisogni, ed è proprio in questo che la psicologia ci può aiutare.
Dobbiamo ricordarci che stiamo compiendo tutti lo stesso "cammino", in qualità di "hospitaliers" e "stagiaires"; ed è senza dubbio perché amate gli ammalati che avete voluto dedicarvi al loro servizio.
La prima cosa da ricordare è che 1'ammalato ha soprattutto bisogno di essere ascoltato. Ma un ascolto intelligente, molto attento, con grande discrezione e sensibilità. Il bisogno primario del malato a questo ascolto. La sua condizione lo mette spesso in uno stato di tristezza e se potrà dire tutto quello che ha nel cuore, si sentirà sollevato. E allora la qualità dell'ascolto è molto importante. Ma ho detto anche con molta discrezione, perché può succedere che voi incontriate un ammalato che già conoscevate, giacché penso che la maggior parte di voi abbia già fatto parte di un pellegrinaggio, come barelliere o come dama.

E' certo che vi parlo per Lourdes, ma vi parlo anche per il "dopo" Lourdes, poiché il vostro stage non è che una tappa. E ciò che cercate di vivere a Lourdes - lo scoprirete – sarà soprattutto per viverlo altrove: questo è il "dopo" Lourdes. Voi vi state impegnando in un servizio e penso che il servizio della visita ai malati sia molto importante. Questo impegno a "servire"', quando vedete tanta gente isolata, questo incontro col malato, questo ascolto, questa discrezione, sono molto importanti: perché, come vi ho già detto, potreste essere chiamati a conoscere la situazione di un ammalato, il suo stato fisico, fors'anche la sua situazione familiare, che può esser dolorosa, e perciò dovete essere sempre molto, molto discreti.
Penso che la fiducia che dobbiamo infondere nell'ammalato sarà giustamente ispirata da questa discrezione, da questa capacità di ascolto, che avrà trovato in ciascuno di noi. Dicevo prima che la lingua può costituire una barriera, una difficoltà; c'è però - io penso - un modo di comunicare con lo sguardo. Forse c'è qualcuno tra voi che ha visto il film "L'infinita tristezza", in cui due gravi malati mentali, che hanno accettato di girare questo film e di vivere una loro giornata davanti alla cinepresa, svolgono tutto un dialogo solo con lo sguardo e con il sorriso. E perciò che vi dico: se non siete in grado di parlare la lingua dell'altro, almeno sappiate guardarlo. Guardarlo, non con curiosità, ma con profonda simpatia e amicizia.
Il sorriso è un linguaggio internazionale. Guardate Bernadette alla Grotta: la Madonna, nelle apparizioni, non le si è rivelata, ma Bernadette diceva sempre: "Quella cosa mi guarda come una persona". E proprio questo è importante: saper guardare gli altri come persone, anche se danno 1'impressione di essere molto lontani per il loro stato. Quanti malati gravi hanno il volto con lo sguardo assente e danno 1'impressione di subnormali, al primo colpo d 'occhio, e sono invece profondamente intelligenti, molto sensibili e molto capaci per tutto quello che si può loro dire. Ciò fa parte della nostra capacità di comprensione: guardarli soprattutto con intelligenza, come persone.
Parlavo prima della psicologia dell'ammalato; noi adesso dobbiamo capire la nostra. Penso, per esempio, che non parlereste ad un anziano come a un giovane di vent'anni, o a un bambino, o alla madre di un bambino handicappato; penso che tocchi a noi usare tutto ciò che il Signore ci ha dato di buono. Di qui l'importanza dello sguardo, della qualità di questo sguardo, che non sia "curioso". Più di una volta gli ammalati mi hanno detto: "Ci guardano come delle bestie rare". E' a questo che bisogna fare molta attenzione. Per esempio, se vedete una madre con un bambino handicappato, o un qualsiasi handicappato, sappiate guardarlo; mai una madre vedrà suo figlio come lo vediamo noi: pensate a questo.
Poco tempo fa, una domenica mattina, alla televisione c'erano due handicappati fisici: una ragazza di vent'anni, che era psicologa in un centro per handicappati, e un ragazzo, anche lui di 20 anni, con le membra molto deformate (aveva infatti le mani completamente contorte), ai quali l'intervistatore domandava: "Come vedete, voi malati, i sani ?" Ed il ragazzo rispose: "Ma siete voi sani che ci fate prender coscienza del nostro difetto, per il modo in cui ci guardate".
Non riusciamo neppure a immaginare come, nel modo di guardare gli infermi, possiamo allontanare la loro speranza, o anche a distruggerla. Siate perciò molto delicati.
Come vi ho già detto prima, questo non è un corso di psicologia, con termini tecnici o teorici; cercherò quindi piuttosto di parlarvi con testimonianze vive, ricevute durante la mia vita in ospedale, e confidatemi durante questi miei quattro anni a Lourdes. Credo che le testimonianze che vi porterò diranno molto di più di quanto io vi possa dire.

Ricordo un'ammalata, venuta in pellegrinaggio da Nevers, una signora con un tumore all'occhio, talmente esteso che gli occhiali scuri non potevano nasconderlo del tutto; io le dissi: "Signora, lei mangerà in sala, invece che in refettorio; le porteremo qui il pasto". E ciò, perché pensavo che per 1'aspetto del suo volto si sarebbe sentita imbarazzata a trovarsi davanti a un'altra persona. Dopo il pranzo, feci un giro per le sale e incontrai la mia malata, in lacrime, che mi disse: "Sorella, sono davvero cosi impressionante che lei non ha voluto ch'io andassi a mangiare con gli altri ammalati ?". Come vedete, pensavo di usarle una cortesia e invece mi ero sbagliata. Dunque potete vedere com'è difficile parlare, e con che delicatezza dobbiamo sempre rivolgerci agli ammalati.
Bernadette diceva: "La Madonna mi guardava come una persona". Lei, una semplice bambina di 14 anni, che nessuno apprezzava a Lourdes, suo paese natale, si commosse nel vedere che la Vergine la guardava. Penso che a Lourdes la nostra missione verso tutti questi poveri che vengono, debba essere simile; poiché abbiamo molti poveri che vengono: deformi, anziani che vivono all'ospizio e che non sempre son considerati come persone. Quindi, per i pochi giorni che vengono a Lourdes, consideriamoli come persone. E' questo ciò che li commuove, e noi siamo responsabili di questo clima di Lourdes, di questo volto che ciascuno deve trovare qui a Lourdes. E voi sapete che non è per il tempo che trascorrono a Lourdes che lo scoprono, perché a volte qualcuno vi rimane solo qualche ora… Poco fa è arrivato un malato con i suoi genitori dal Messico; è venuto solo per qualche ora, un'ambulanza 1'ha portato da Bordeaux, a mezzogiorno è andato alle Piscine, e adesso sta per ripartire.
Dunque, vedete quanto è importante: anche se incontriamo le persone per poco tempo, abbiamo questa missione: portar loro il "messaggio" di Lourdes, e cercare di dar loro quello che la Madonna ha confidato a Bernadette.
Sapete quello che venite a vivere qui a Lourdes ? Avreste potuto scegliere un altro luogo, per il vostro stage, come un campo di paralitici, o altro (voi sapete che i comunisti, per esempio, si danno tanto da fare come noi). Ma noi a Lourdes proprio perché siamo a Lourdes, abbiamo questa responsabilità - e allo stesso tempo questa gioia - di avere la fede.
Bisogna soprattutto non scoraggiarsi; se qualcuno dice: "Oggi non sono andato a Messa", questo non ha importanza. Siete a Lourdes, e dovete cercare di vivere il messaggio di Lourdes, e accompagnare i malati nel cammino del loro pellegrinaggio.
Molto spesso, trovandosi di fronte a certe sofferenze, è meglio non parlare, piuttosto di dire una parola che potrebbe fare del male. Abbiamo invece questa grande fortuna, di poterli ricordare nella nostra preghiera: è questo il messaggio di Lourdes. La Madonna ha detto a Bernadette: "Preghiera e penitenza", ma prima di tutto pregare e saper pregare. Sapete, c'è un'infinità di modi per pregare, non è necessario mettersi in ginocchio.
Il sorriso può essere la preghiera della vostra gioia. Non c'è che questo.
Vi dico anche: siate molto rispettosi, non vogliate imporre la preghiera ai malati. Anche questo fa parte del rispetto della persona. Non conoscete i malati che vi stanno di fronte; forse li conoscereste di più se faceste parte del loro pellegrinaggio, ma anche così è possibile che non li conosciate in assoluto. Per questo, non vogliate imporre la preghiera, dicendo per esempio: "Andiamo alla Grotta a pregare". Se lo conoscete bene, potete invitare 1'altro alla preghiera, ma mai obbligarlo. Penso che sia piuttosto il nostro modo di comportarci, ciò che ci permette d'incontrare l'altro.
Vi dicevo prima che di questa prima impressione di Lourdes siamo tutti responsabili : e qui mi rivolgo in modo particolare ai barellieri, che hanno il compito di andare ad accogliere gli ammalati alla stazione. E' molto importante, quando salite su un'ambulanza, o in uno scompartimento per prendere il malato ed aiutarlo a scendere (o scenderlo direttamente), che lo facciate molto delicatamente; più importante, però, è il vostro primo sguardo, meglio se potete dargli una stretta di mano., perché c'è un modo di accogliere i malati. E quante volte, in effetti, ci vien rimproverato (ed è vero, purtroppo) che i barellieri, volendo far bene, sono spesso troppo veloci, troppo bruschi, per cui 1’'ammalato, al primo contatto, si chiede dove sia capitato.
Dunque, questa è la vera cosa importante: saper guardare le persone. Vi capiterà per esempio, in stazione, di dover mettere una coperta su una persona che è su una barella o su una carrozzella, ma mettendo questa coperta, non gettatela come se la gettaste su un oggetto. Sappiate "guardare " il vostro malato
Non molto tempo fa, un malato, al suo rientro da Lourdes, diceva: "A Lourdes ero molto accudito, ma non mi hanno saputo guardare".
Questo è molto importante: che gli ammalati sentano questa simpatia e tutto 1'amore che vi ha portati a Lourdes. E credo che noi siamo responsabili di quest'infinita tenerezza: ricordiamoci come nel Vangelo il Signore ha guardato gli ammalati: "Un bicchiere d'acqua dato in mio nome, è a me che viene dato". E ricordiamo anche come la Madonna, ve lo dicevo prima, ha guardato Bernadette, e come Bernadette trattava gli ammalati.
Non dobbiamo mai dare 1'impressione di aver sempre premura; a questo punto mi riferisco soprattutto a coloro che devono visitare i malati.
San Vincenzo de' Paoli diceva, ai suoi tempi: "Fatevi perdonare il pane che date". In parallelo io dico: facciamoci perdonare anche di essere in buona salute. La salute è un dono di Dio: oggi abbiamo la salute, non sappiamo che cosa ci è riservato per il domani. Quando andiamo a visitare un malato, cerchiamo di sederci invece di restare in piedi, cosi ci porremo un po' di più alla sua portata: se non ci son sedie, non importa, possiamo sederci discretamente sul bordo del suo letto. Sappiamo star seduti, non diamo la sensazione di aver fretta.
A questo punto mi scuso di tornare ancora una volta su ciò che ho vissuto in prima persona. Il caso si riferisce a un ammalato che chiamavano "Bernardo il piccolo" e che era stato per molto tempo in ospedale. Finalmente un giorno il Signore lo chiamò a sé, ed i suoi parenti andarono a prendere le sue cose. Egli aveva un'agenda, sulla quale tutti i giorni segnava le visite che riceveva e annotava: "II tale è venuto, ma aveva fretta...". E in molte pagine era scritto cosi …
Il tempo non ha lo stesso valore, quando siamo malati. Allora, se andiamo a visitare i malati, cerchiamo di dar loro il nostro tempo; e se non abbiamo tempo, ebbene, è meglio non andarli a trovare, è quasi meglio mandare una lettera. Ma non dobbiamo dare sempre 1'impressione di avere premura.
A Lourdes farete degli incontri (a Lourdes, come anche in altri posti): se promettete qualcosa, sappiate mantenere le vostre promesse. Anche questo penso che sia molto importante.. Quante volte ho visto malati giovani, soprattutto giovani, che erano - permettetemi 1'espressione - "smontati", scoraggiati, perché al ritorno, tutto quello che era stato loro promesso, non era stato mantenuto. Perciò, se non potete esser fedeli nella vostra amicizia, non compromettetevi con quest'amicizia: questo non può che far del male alle persone. Per favore, fate molta attenzione a ciò.
Vi parlavo prima dell'ascolto dell'ammalato: ebbene ci vuole molta pazienza per saper ascoltare, e molta disponibilità. Per esempio, quando siete qui in pellegrinaggio e siete di servizio in sala, un ammalato vi può sembrare particolarmente esigente, ma pensiamo che per un malato, che forse non può neppure scacciare una mosca da solo, se mangia a letto può ben essere che delle briciole gli cadano nel letto e che egli sia costretto a sopportarle anche per tutto il giorno.... Perciò non consideriamoli mai troppo esigenti.
E' vero che se noi facessimo 1'analisi dei caratteri, dei temperamenti, delle personalità, troveremmo persone più esigenti di altre; ma quando si dipende dagli altri per ogni necessità.... credetemi, è duro.
Non so se avete mai visto dei malati che devono chiedere tutto, che non possono fare da soli assolutamente nulla - e se sapete osservare i malati che vengono qui a Lourdes, ne troverete molti - perciò, se qualcuno vi chiede qualcosa, o vi fa anche solo segno con lo sguardo, vi prego di tornare indietro anche se siete sfiniti. Fate questo "cammino". Ne vale la pena.
Vedete, quando si ha una briciola di pane sotto la schiena, oppure quando si ha sete e non si riesce a prendere il bicchiere, non possiamo dire: "Ma se ha tutto quello di cui ha bisogno!", perché può darsi che egli abbia si un bicchier d'acqua vicino, ma forse non alla distanza giusta da sé: ecco perché vi dico che bisogna saper guardare. Ma guardare con intelligenza e con spirito di osservazione.
A questo proposito, vi faccio un altro esempio: quando siete di servizio nella Basilica di S.Pio X, durante le concelebrazioni, può succedere che voi siate in un settore con un gruppo del quale siete responsabili, e che a fianco un malato di un altro gruppo abbia bisogno di qualcosa e che nessuno veda. Sappiate guardare! E poi, se non potete essergli di aiuto per via della lingua, cercate di guardarvi intorno e di trovare qualcuno che vi possa aiutare. Non bisogna mai lasciare qualcuno in difficoltà per questo. Non guardiamo solo il nostro piccolo settore: io penso che dobbiamo avere lo sguardo abbastanza ampio, per saper vedere anche a fianco.

Vi parlavo poco fa di "discrezione" (scusatemi se ritorno su guanto vi ho già detto), ma la discrezione - sapete ? - per il medico fa parte del segreto professionale e voi potreste trovarvi a dover condividere, almeno in parte, questo segreto, soprattutto per quel che riguarda la malattia.
Non molto tempo fa, abbiamo avuto qui un pellegrinaggio, quale partecipava un giovane, Jean-Louis, con un sarcoma all'anca, cioè un cancro osseo. E questo giovane, quand'è venuto a Lourdes, non era un cristiano praticante e i ragazzi della sua età, infermiere o barellieri, erano stupiti di vedere Jean-Louis nel gruppo dei malati. Esteriormente era infatti un ragazzo molto bello, e non si sarebbe mai pensato che fosse cosi grave e gli altri giovani mi chiedevano: "Ma, sorella, che cosa ha Jean-Louis ?". Non posso dimenticare che quello che Jean-Louis ha fatto allora (mi pare che sia morto uno o due mesi dopo: il Signore gli aveva "concesso" questa venuta a Lourdes), l'aveva fatto nella gioia e l'aveva preparato: mi hanno detto infatti che aveva rivisto tutta la sua vita cristiana. Ma se i giovani che lo circondavano avessero conosciuto la gravità del suo male, avrebbero sicuramente avuto un altro comportamento, che non 1'avrebbe aiutato nel suo "cammino".
Allora vedete, ve lo dicevo anche prima, e lo capite benissimo, non si può sempre svelare lo stato, la condizione vera di un malato: sono soltanto gli infermieri ed i medici curanti che devono esserne informati.
Cosi pure non bisogna mai esprimere giudizi sulle condizioni di un malato, perché anche questo rientra nel piano di Dio; e se prima vi parlavo della personalità..., ebbene, abbiamo tutti il nostro carico di segreti, che dobbiamo saper rispettare a vicenda. Perciò, se qualche volta ci capita d'incontrare qualcuno che ci sembra chiuso, sappiamolo accettare. E non solo un malato, anche un sano: ci sono dei giorni, infatti, in cui ci si sente più o meno aperti agli altri. Bisogna saper rispettare il segreto altrui.

Ecco, questo è molto importante: il rispetto dell’altro e della sua autonomia. E se vi dicevo prima che dobbiamo aiutare i malati a fare il loro pellegrinaggio, dobbiamo farlo coscienti di questa loro autonomia: saper rispettare il malato, se vuole andare in questo o in quel posto. Può cadere ? Bisogna stare attenti, d'accordo, ma bisogna anche saper aiutare il malato a conservare la sua autonomia, anche sul piano fisico. Durante i quattro o cinque giorni che passa qui a Lourdes possiamo aiutarlo a fare un gesto, un passo, che forse nell'ospedale dal quale viene non hanno tempo di fargli fare e che per lui sarà un progresso; come può invece succedere che ad un malato che viva in un centro rieducativo bastino quei quattro cinque giorni passati qui a Lourdes senza fare gli esercizi soliti, per fargli perdere 1'abitudine a un gesto. E non bisognerebbe proprio che un malato tornasse al suo centro ospedaliero, essendo peggiorato qui a Lourdes.
Io ho accompagnato per molti anni i malati a Lourdes. Una volta sono tornata con un malato che aveva una sclerosi a placche, una malattia dei muscoli, una mielite: era molto malato, ma è ritornato peggiorato ed invece di rientrare al suo ospizio ha dovuto essere ricoverato presso un reparto di chirurgia. Per fortuna, era un malato che aveva la fede.... e l'anno dopo è ritornato a Lourdes.
Perciò ve lo ripeto, dovete aiutare 1'ammalato a conservare la sua autonomia, dovete rispettarla e dovete aiutarlo ad averne un pò di più: se egli ha fatto un progresso a Lourdes, sarà un successo di tutti, per tutti.
A questo proposito, mi viene in mente un'ammalata che era qui qualche mese fa in pellegrinaggio e che 1'anno prima era venuta su una sedia a rotelle; nel frattempo aveva subito un intervento chirurgico che le ha permesso di camminare con dei bastoni. Una "hospitalière", quindi una persona che accompagnava il suo pellegrinaggio e che 1'aveva vista 1'anno prima, le disse: "Oh, guarda! Non bisogna più spingervi! ". Eppure lei era molto contenta di poter andare dove voleva, con i suoi bastoni, senza dover essere sempre spinta sulla sua sedia a rotelle.
Credo che qualche volta noi esageriamo, volendo aiutare gli altri.
Bisogna far bene attenzione: gli ammalati sono delle persone in pellegrinaggio, e se talora qualcuno ha ritrovato la sua autonomia, ebbene, tanto meglio! Ma mai aver 1'aria di dire: "Che peccato che lei non dipenda più da me! Questo fa parte della psicologia del malato.
Spesso si sente dire: "i nostri malati", "i miei malati" .... Ma i malati vogliono conservare tutta la loro personalità; è vero, ci possono essere delle persone che per temperamento sono contente di essere molto "coccolate" ed anche di perdere un po' della loro individualità, ma ve ne sono altre che, benché malate, vogliono restare quelle che sono. Per fortuna.
Dunque, mai dare l'impressione di essere possessivi. Le persone vogliono rimanere quelle che sono, vogliono fare il loro cammino: noi siamo qui per aiutarli, ma per aiutarli con intelligenza.
E' certo che il dover dipendere dagli altri è la cosa più fastidiosa per un malato, costretto a chiedere sempre tutto. Quando si è stati liberi nei propri movimenti, penso che non sia facile abituarsi a dipendere dagli altri.
A proposito della sofferenza, poi, non importa se si resta in silenzio davanti a qualcuno: è molto meglio che 1'altro senta la nostra compassione nella nostra amicizia, nei nostri gesti, nel nostro sguardo, piuttosto che dirgli una parola maldestra.
Il Cardinale, che è stato portato via da una rapidissima malattia e che ha sofferto molto, scriveva ai suoi sacerdoti: "Soprattutto, vi prego, non parlate della sofferenza... Finché non ci si è passati, non si è in grado di parlarne".

E" qualcosa di così grande! E poi, con la persona ha la "sua" sofferenza. Perciò non bisognerà mai dire a un malato: "Ma il tale ha avuto questa malattia e si è comportato in questo modo". Bisogna rispettare la persona. Allo stesso modo, non bisognerà cercare di rassicurare un ammalato, dicendogli: "Oh, ma non è niente!", perché cercando di rassicurarlo troppo, non lo si tranquillizzerà di certo. Egli infatti penserà subito: "Se mi vuoi rassicurare cosi, significa che ho qualcosa di grave!".
Bisogna saper ascoltare, e rassicurare di più con la preghiera e con la nostra amicizia che non con le parole, soprattutto quando non si conosce bene il malato.
Poco fa vi parlavo della persona: è certo che ci sono delle persone che ispirano maggiore o minore simpatia, oppure vi è una simpatia più spontanea e ci si sente perciò più attirati da una persona che da un'altra. Anche qui dobbiamo essere molto attenti e molto delicati. Capita a volte, quando ci si guarda attorno, di vedere dei malati che hanno tante persone intorno, ed invece altre che nessuno guarda. Facciamo dunque molta, molta attenzione. E' vero, certo, che ci sono delle persone che attraggono più dì altre, ma sappiamo essere anche in questo molto delicati.
E qui mi rivolgo soprattutto ai più giovani: è vero che quando venite a Lourdes per alcuni giorni, questi possono essere faticosi proprio perché qui a Lourdes si è a contatto con la sofferenza molto più che altrove; ed è normale che voi abbiate voglia di distensione, di rilassarvi, ma anche in questo caso fate attenzione: se avete voglia di trovarvi in gruppo, di ridere, di far baccano, vi capisco benissimo, ma siate così delicati da vedere che vicino a voi non ci sia qualcuno su una barella o su una carrozzella che non può partecipare alla vostra allegria.

Proprio a questo proposito ho sentito la riflessione di un ammalato....: "Oh, sentite,
andate a far baccano un po' più in là! Anche noi, sapete, ne avremmo voglia, ma non possiamo....". E finché non lo si è vissuto, non ci si rende conto, "perché per noi si tratta di cose cosi normali!
Vedete, per esempio, la settimana scorsa c'è stata qui una ragazza di 15 anni, che era venuta da Lille in ambulanza, con un tumore al cervello e che soffriva moltissimo per il rumore. E' arrivata a mezzogiorno alla "3ème Hall" (quelli di voi che conoscono la casa sanno dove si trova): c'era molta gente, era finito il servizio per il pranzo e c'erano molti giovani che ridevano e scherzavano... il che è normale, d'altronde! Ma quando la mamma è scesa dall'ambulanza e ha visto ciò, ha reagito con violenza. E io ho dovuto dire di far silenzio.
Si corre il rischio di essere causa di grande sofferenza, sapete, per coloro che sono in ansia, in apprensione, e che vedono le persone che sono là per loro e che non fanno attenzione, che hanno un comportamento tutto diverso da quello che dovrebbero avere. Ve lo dico per risvegliare, per sollecitare la vostra attenzione per gli altri. Non si può essere al servizio dei pellegrini ammalati come saremmo altrove: non è possibile. Dovete sensibilizzarvi in tal senso. E la stessa cosa è negli ospedali, quando vi sono delle persone che fanno chiasso e accanto ve ne sono altre che forse stanno morendo.
So bene che non si può essere sempre sul chi va là. Ed è vero che quando lo si vive per tutto 1'anno, è ugualmente difficile, faticoso: ma se le persone che vengono a Lourdes, ci vengono per la prima volta (e quella mamma che 1'altro giorno è arrivata con la figlia cosi malata arrivava a Lourdes per la prima volta), ebbene, noi siamo responsabili di questo clima di Lourdes. E siamo tutti insieme a creare questo clima.

Voi siete il nostro ricambio, per noi che siamo qui sempre; perché, sapete, non veniamo da un altro pianeta e - lo dico sempre - anche noi possiamo essere stanchi, e può capitare che siamo perciò meno gentili, meno accoglienti, meno disponibili: siete voi che ci risollevate e che date quest'impressione di disponibilità, di pace, di gioia. Siate ben coscienti di ciò !
Tra poco vi leggerò le testimonianze di alcune persone che hanno passato qui solo poche ore (una vi è rimasta 48 ore, un'altra solo 4), ma che, proprio per il clima che vi hanno trovato, hanno portato con sé un ricordo di Lourdes che le ha aiutate.
Quando ho ricevuto queste lettere, non pensavo certo di usarle come testimonianza in una scuola di "stage": in quel momento, infatti, non c'era una vera e propria scuola, e in ogni caso non c'era questa conversazione sul modo di stare con 1'ammalato. Per quanto mi riguarda, io le ho ricevute come una "parabola". E vedrete che non è tanto la quantità di ciò che è detto in queste lettere, quanto la qualità, che è importante.
Vedete, è straordinario, ma penso che bisogna che attraverso tutti i vostri incontri i malati sentano che voi siete qui per amore.
Di Bernadette, per il suo comportamento, si è potuto dire: "Basta amare", perché non aveva bisogno di parlare, perché amava. E più verrete a Lourdes, più scoprirete le necessità dei malati. Potrete incontrare delle persone che io non avrei forse mai incontrato: sta a voi scoprirle, con la grazia dello Spirito Santo! Noi, da soli, siamo poveri, e dobbiamo andare verso gli ammalati con un cuore povero, umile, perché sono loro che danno a noi più di quanto noi possiamo dar loro. Se noi diamo loro un aiuto, la nostra amicizia, la nostra dedizione, ebbene, non è gran cosa, in confronto a tutto ciò che essi vivono; e vedrete, attraverso le vostre esperienze, che essi vi danno molto di più di quanto noi possiamo dar loro.

Perciò dobbiamo essere molto attenti e saper ascoltare.
Se vi dico: basta amare, è vero.
Sia che veniate in "stage", sia che veniate con un pellegrinaggio, vi capiterà di vedere dei malati gravi, che sono in coma ormai da anni e che nonostante ciò sono là, vivi. Io dico sempre che se non avessero avuto una presenza amorosa vicino a loro, queste persone sarebbero morte: vedete, le persone che sono in queste condizioni, si sentono amate anche nel loro stato di coma... E penso che anche un malato che ci da 1'impressione di non capire, senta profondamente un gesto d'amicizia, una mano posata sulla spalla .. Guardate per esempio quanta tenerezza sanno vivere, e sanno anche dare, gli handicappati psichici ! E sono persone capaci di amare Dio, e penso che siano delle membra molto forti della Chiesa, che hanno un valore grandissimo. Perciò noi dobbiamo saperli guardare sempre con molta attenzione e con molta tenerezza.
Certo è difficile mettersi al posto degli altri: qualche volta, quando vediamo i malati dal di fuori, noi li giudichiamo in base al nostro modo di pensare, al nostro modo di reagire.
Durante il pellegrinaggio dei poliomielitici, c'era un malato che da 25 anni è nel polmone d'acciaio - 25 anni sono molti, vero ? - e che durante il giorno ha una certa qual autonomia, anche se su una sedia a rotelle. Bene, durante il pellegrinaggio, questo signore è andato a fare un giro in città ed era tutto felice di raccontarlo ai suoi medici (in verità questo pellegrinaggio, e per me era la prima volta che lo vedevo, è qualcosa di straordinario per la capacità di solidarietà e di amore reciproco). Per ritornare al nostro amico, che vive ormai da 25 anni nel suo polmone d'acciaio, ebbene, egli vive pienamente la sua vita. Più tardi, parlando di lui, la persona con la quale parlavo mi diceva: "Oh, sarebbe molto meglio che fosse morto!". Ma questo perché noi pretendiamo di ragionare al posto dell'altro.... E questo vale anche per gli handicappati gravi. Infatti, il giovane di cui parlavo prima, diceva che siamo noi, con il nostro modo di guardarli, che facciamo loro capire il loro handicap. Tutti gli handicappati dicono la stessa cosa. Eppure tutti hanno delle capacità: penso infatti che il Signore li compensi in altro modo; essi vivono in modo diverso da noi, con altri valori, ma non per questo la loro vita vale meno, anzi, spesso vale di più.
Tornando alla capacità di saper guardare il malato, mi rivolgo ora in particolare a quelli di voi che sono di servizio alle Piscine: quando aiutate un ammalato a spogliarsi, siate molto delicati. Ma non soltanto nell’aiutarlo a spogliarsi, perché è là che ci troviamo di fronte alla vera sofferenza, anzi alla miseria fisica. Così, a volte anche una persona che potrà sembrarci vestita in modo molto elegante, potrà poi essere gravemente menomata. Allora non mettiamoci una maschera, ma cerchiamo di avere, una sufficiente padronanza di noi stessi per poter accompagnare queste persone nel loro "cammino”. Che esse sentano tutta la nostra simpatia e tutta la nostra comprensione; e, soprattutto, cerchiamo di non avere mai uno sguardo di pietà e ancor meno di ripugnanza
E' ben possibile che vi troviate di fronte ad ammalati che ispirano ribrezzo, soprattutto quando non si ha 1'abitudine di aver a che fare con gli ammalati (e voi avete questo merito, che molti di voi non provengono dall'ambiente ospedaliero). Dovete allora fare appello alla vostra intelligenza, al vostro cuore. La Vergine vi aiuterà.
E vi dico ancora di saper osservare.
Non molto tempo fa per esempio, una suora diceva ad un giovane: "Per favore, può chiudere la porta ?". Egli aveva la giacca sulle spalle e non si vedeva che era senza braccia.
Dunque, come vedete, si possono fare delle "gaffes". Anche a me è successo, non molto tempo fa: una ragazza stava compilando la sua scheda, e aveva il volto tutto coperto dai capelli. Allora io le dissi di tirarseli indietro, e lei lo fece.

Mi trovai così di fronte a un viso con una palpebra che arrivava a metà guancia e che era veramente impressionante. Quella ragazza poi si fece operare e l'intervento riuscì.
Dunque, vi dicevo prima che il malato non si rende mai conto dello stato in cui si trova e dell'impressione che può fare sugli altri. Quella ragazza, infatti, avrebbe potuto dirmi che non poteva scoprirsi la faccia, e io avrei capito. Invece si affrettò a sollevare i capelli dal suo viso e io vi assicuro che ancora adesso, a un anno e mezzo di distanza, conservo dentro di me la reazione provata allora.
Vedete ? Quando incontriamo una persona, non sappiamo mai a che cosa andiamo incontro. E non avremo mai abbastanza questa capacità di contatto con 1'altro e di delicatezza.
Perciò vi dico che quando s'incontra una persona, si dovrà spesso ricorrere allo Spirito Santo perché ci aiuti nel nostro cammino. Da soli noi siamo poveri e dobbiamo vivere come poveri.
Attraverso le testimonianze che ora vi leggerò - come prima vi avevo detto - vedrete che sono loro, i malati, che ci danno qualcosa.
Voglio leggervi prima di tutto alcune lettere che mi son state scritte da persone venute qui a Lourdes da sole.
Vi dicevo prima che dobbiamo saper avere questa capacità d'incontrare l'altro, perché queste persone sono venute da sole (come, per esempio, la ragazza dell'altro giorno, che è rimasta solo 24 ore). Pensate alla responsabilità che abbiamo di saper far vedere il vero volto di Lourdes, il suo messaggio!
E quella mamma che è morta nel dicembre scorso: il marito mi ha mandato il suo testamento spirituale, che però non posso leggervi per intero. Vi leggerò solo i paragrafi che riguardano Lourdes e quello che questa mamma ha trovato in Lourdes: "...A Lourdes - scrive - io ho avuto dalla Vergine un aiuto per prepararmi e le ho chiesto di venire a prendermi con dolcezza". (E se sapeste quante sono le persone, i malati, le persone sole, che son venute a Lourdes per prepararsi a questo incontro, a questo passaggio: son venute a cercare questa forza e l'hanno trovata, in questo cammino di fede!). Quella madre dice ancora ai suoi figli di venire a Lourdes, sia con i loro gruppi di scout, sia come barellieri, in ringraziamento per la grazia, la pace e la speranza che lei vi aveva trovato.
Come vedete, abbiamo tutti una grande responsabilità.
Questa è invece la lettera di una giovane donna, un'infermiera, anche lei oggi presso Dio. Di ritorno da Lourdes scriveva: "Eccoci di ritorno da Lourdes: il viaggio è trascorso nella gioia, con abbondanza di grazie, senza fatica né dolori, una strada bella e col bel tempo. Siamo tornati tutti e tre sconvolti, commossi intimamente. Tanta miseria, ma anche tanta grazia e tanta fede: è questo, il miracolo di Lourdes Spero di non venir mai meno a questo dono di Dio, al quale mi sono riavvicinata nella sofferenza, e che avevo un po' dimenticato; ed in effetti senza di Lui io non sono nulla. Lo ringrazio di avermi dato questa croce e di aiutarmi a portarla, ma vivo nella speranza di una guarigione, per poter aiutare gli altri e per servirlo meglio. Ma è Lui che decide, e proprio a Lourdes ho capito che pensavo troppo a me e che non avevo ancora quell'amore, quell'abbandono, quell'umiltà, che mi avrebbero riavvicinata a Dio. Ho imparato a soffrire, sto imparando a pregare e a rimettermi completamente nelle Sue mani. Grazie dell'accoglienza (e qui usa delle parole di gratitudine per tutti) e La prego di salutarmi tutti con affetto. Prego per voi ogni giorno e questo mi riempie di gioia. Mi scusi per il modo in cui scrivo, ma sono coricata nel mio letto e cosi è più difficile scrivere". Poi ringrazia ancora per tutto quanto ha trovato qui.

Vedete che è incoraggiante tutto ciò, anche se qualche volta si dice che in "stage" non s'incontrano quasi gli ammalati. Ma io vi dico che anche solo 1'azione di passare un piatto in refettorio ad un malato è importante; perché vi è un modo di vivere ogni gesto, che fa questa "qualità" dell'incontro... Non è il tempo che passiamo con gli altri, che è importante, ma questa capacità, questo modo d'incontrare gli altri. E penso che per questo dobbiamo pregare molto, perché dicevo prima che noi, da soli, siamo poveri.
Fin qui vi ho parlato di persone venute a Lourdes da sole.
Adesso invece vi leggerò le testimonianze, di alcune persone che son venute in pellegrinaggio.
Questo è un ragazzo che oggi deve avere circa 20 anni (quando scriveva ne aveva 18), ma quello che scrive vale sempre anche oggi. "Era un giorno di settembre - egli dice - quando ho dovuto lasciare i miei genitori: avevo 8 anni. Ho pianto a lungo, sul mio letto, in una camera con altri 8 ragazzi. Le foglie cadevano come le mie lacrime, le mie gambe incominciavano a far fatica per portarmi a scuola. Quante volte le mie sorelle avevano dovuto portarmi, l'inverno precedente... E al sanatorio che ho dovuto imparare il mio mestiere di malato: perché è un'arte, essere malato, e ci vuoi molto coraggio per affrontare la paralisi e la gente. La più grande delusione 1'ebbi a 10 anni, quando un mattino le gambe non mi ressero più. Mi son ritrovato cosi su una sedia a rotelle: che ricchezza poter stare in piedi. Per fortuna, quando si è giovani, non ci si rende conto di quello che si perde. Ero infatti felice di avere una sedia a rotelle. Con le cure ho incominciato a soffrite (ginnastica, apparecchi, massaggi): prima dei massaggi nell'acqua a 38 gradi ero morto di paura... Durante la notte dovevo tenere, delle scarpe speciali... Tornavo a casa ogni tanto. Durante le vacanze di Natale avevo tolto per qualche ora gli apparecchi ortopedici: scivolai dalla mia sedia... Risultato: una gamba rotta. Quante sofferenze, in quei giorni. Mi hanno ingessato. Ed è in queste condizioni, che ho fatto la mia Prima Comunione, coricato su un letto. Per fortuna avevo dei buoni risultati a scuola. Ciò che è duro, per noi, è di dover dipendere dagli altri: dobbiamo sempre chiedere e ancora chiedere. Chi è sano non sa quanto sia duro dover chiederei Mi succede a volte di ribellarmi; ma, nonostante ciò, la vita è bella e voglio viverla appieno. Quello che ci fa più male è il sentirci compatire dalla gente: vorrei che gli altri capissero che non abbiamo bisogno della loro pietà. Quante volte ho sentito qualcuno dire: "Povero ragazzo, che pena! ". Ma ciò di cui abbiamo bisogno è amicizia e comprensione...". E continua dicendo: "Perché non possiamo avere il diritto di vivere, di avere un lavoro, di formare una famiglia ? Perché siamo divisi dagli altri ? Le persone handicappate sono dunque degli esseri inutili, inferiori ? Non lo credo, e sono contento di essere nella mia condizione: ciò mi ha infatti permesso di approfondire tante cose della vita. Ma la mia disgrazia non è ancora completa, i miei muscoli tremano e presto non potrò quasi più muovermi". A questo punto mi comunica i suoi risultati scolastici, e poi continua: "Che gioia, quando ho ricevuto la mia sedia a rotelle elettrica, che mi ha permesso di riavere una certa qual autonomia!.... Così ho ritrovato le mie gambe, la mia libertà, e non debbo più dipendere dagli altri. Ogni anno vengo a Lourdes in pellegrinaggio e lì ci sentiamo circondati da una grande amicizia e riusciamo anche a dimenticare la nostra paralisi. La vita mi ha fatto conoscere decine e decine di educatori, d'infermieri, di compagni: ci sono delle persone che sanno capirci e considerarci parte della società. Ci sono delle persone che è bello guardare anche solo per 1'espressione del loro volto".

E un po' oltre scrive: “Vorrei tanto potermi rendere utile e gridare al mondo che la vita è bella! .... Certo, ci sono dei momenti in cui tutto va male, in cui si vorrebbe abbandonare la lotta..., ma la vita è meravigliosa! Mi tiro dietro la mia sedia a rotelle dovunque e sono felice di vivere perché so che vi è chi sta peggio di me. I miei genitori, i miei educatori, hanno fiducia in me: non posso deluderli. Io lotto anche per loro. Si, la vita è bella e lotterò finché i miei muscoli me lo consentiranno ".
Ecco, io penso che questo ragazzo ci dia molto più di quanto noi possiamo dare a lui; ed è certo che egli fa un bene enorme intorno a sé.
Voglio terminare, adesso, con un'altra testimonianza, perché penso che esprima molto bene tutto ciò che i malati si aspettano da noi.
Si tratta di una ragazza di 20 anni, che dice: "Un giorno ho voluto fare un tuffo in piscina, benché mio padre mi avesse detto che c'era troppo poca acqua.... Mi tirarono fuori con una frattura multipla alla spina dorsale. Durante i miei tre anni d'ospedale ho subito sei interventi chirurgici. Prima di ogni intervento mi promettevano che avrei ritrovato l'uso delle gambe e vivevo con questa folle speranza. E le delusioni furono sempre grandi come la mia speranza: mi ribellai e smisi ogni pratica religiosa e non pregai più. Un anno dopo 1'incidente mi proposero di andare a Lourdes: accettai, ma solo per uscire dall'ospedale. Il mio primo pellegrinaggio fu per me solo un modo per fare un viaggio che non potevo prendere in considerazione se non in quel caso. Non pregai per nulla e la mia ribellione interiore non si calmava. Ho vissuto così due pellegrinaggi e accettai di venire una terza volta a Lourdes, ma solo perché era 1'unica evasione che avevo. Durante questo terzo pellegrinaggio, mentre ero sempre immersa nella mia rivolta, ho sentito un sacerdote dire alla Grotta: "II Cristo non è venuto per spiegarci la sofferenza o per parlarne, è venuto per viverla e dividerla con noi; ed a causa della tenerezza di Dio per i suoi figli, la sofferenza sarà sempre un mistero, ma vissuta con il Cristo essa salva il mondo". Sussultai, sentendo queste parole, che erano per me una rivelazione, e che sono alil'origine della mia riconciliazione con Dio dopo un lungo cammino. Sono uscita dall'ospedale, ho oggi 20 anni e so che la medicina e gli esercizi rieducativi non mi faranno mai ritrovare 1’uso delle gambe. Fino alla fine della mia vita sarò su una sedia a rotelle, ma ho voluto venire ancora una volta a Lourdes. Il mio pellegrinaggio è un cammino di riconoscenza e di azione di grazie, perché da quando ho saputo che la mia sofferenza, unita a quella del Cristo, salva gli altri, io sono - nonostante o a causa del mio handicap - la ragazza più felice del mondo".
Penso che si possa finire qui, perché questo è anche per noi un grande messaggio di speranza.
Bernadette diceva alle sue suore di Nevers, quand'era all'infermeria e affidava una suora cieca alle cure di un'altra suora (e Bernadette non era stata a scuola di psicologia, ma - è vero - ella ha vissuto alla scuola della Madonna), dunque, Bernadette diceva a quella suora: "Trattala come se fosse il buon Dio".
E penso che il Signore metterà in ciascuno di noi abbastanza fede per farci sedere ogni nostro fratello come se fosse il buon Dio.
Questa è una grande gioia e una grande speranza.
Allora vi dico: fate un buon "stage", sull'esempio di Bernadette.
E buon lavoro a tutti.

Suor Marie St.Jean Torgue. Lourdes, 1979.